Tra i numerosi momenti “raccontati” nei giorni scorsi da Overtime Festival, il contenitore culturale sull’etica sportiva promosso ormai da anni a Macerata, più d’uno sarebbero il personaggio, la dichiarazione e lo scatto da immortalare per questa sesta edizione, conclusasi domenica 10 ottobre all’insegna, come sempre, della qualità e di un ottimo consenso da parte del pubblico.

Tra i “big” dei campi da gioco, tra le stelle olimpioniche e i fuoriclasse della stampa, un’attenzione del tutto speciale, tuttavia, va riservata all’ospite che, sabato pomeriggio, in Università ha saputo attrarre – come prevedibile – la gremita platea che ha riempito la prestigiosa cornice dell’Aula Magna.

Arrivato sotto l’attenta sorveglianza della scorta e della Polizia di Stato, don Luigi Ciotti, accompagnato da Lucilla Andreucci e accolto dal rettore dell’Ateneo maceratese, Francesco Adornato, e dal questore di Macerata, Giancarlo Pallini, non si è risparmiato, con la consueta, schietta limpidezza che lo contraddistingue, nel parlare di sè, degli incontri intesi come autentici «segni» della Provvidenza, «che ci costringono a fermarci e a riflettere», e delle tappe del suo cammino di vita speso per e con i giovani emarginati, a partire dalla nascita del Gruppo Abele, nel 1965 a Torino, e, trent’anni dopo, il coordinamento di Libera.

Ad introdurlo, suscitando in lui più di uno spunto interessante, la verve del conduttore radiofonico e autore Marco Ardemagni, unita alla professionalità del giornalista Claudio Arrigoni – protagonista, in mattinata, della presentazione del suo libro «Paralimpici», assieme alla campionessa Assunta Legnante -, che pure si è intrattenuto nel dialogo con questo prete “di strada”, vicino agli ultimi e fermamente impegnato nel loro riscatto sociale. «Sono felice di spendere la mia vita a saldare la terra con il cielo». Questa frase, pronunciata nel 2009 da don Ciotti nel corso di un’intervista, ben sintetizza i tanti concetti espressi nell’intervento all’Unimc, attraverso due termini non di certo casuali qui, nella terra natìa di padre Matteo Ricci che di quella stessa «terra» e dello stesso «Cielo» si fece interprete nell’evangelizzazione della lontana Cina.

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Don Ciotti con i ragazzi di Libera. Il coordinamento, nato nel 1995, raggruppa associazioni, nomi e numeri contro le mafie, e oggi rappresenta un solido punto di riferimento per oltre 1.600 realtà nazionali e internazionali

«Credo che bisogna liberare lo sport da quelle forme di illegalità, di doping sia sportivo, ma anche politico, quando, per ottenere consenso, si promettono cose che non si possono mantenere. In questa nostra epoca, poi, siamo in preda ad un altro tipo di doping: quello economico e culturale, quando si finge di non vedere la verità dei fatti». Così ha esordito il prete nato nel 1945 a Pieve di Cadore e diventato uno dei simboli italiani più eroici nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata. Dalla sua stessa voce, poi, la testimonianza emozionata dell’impegno, quotidiano, per garantire ai bambini figli di un Sud svantaggiato e martoriato dall’illegalità, attraverso l’impiego intelligente dei beni di proprietà confiscati alla mafia, «l’esempio di una educazione viva, dove lo sport può regalare momenti di divertimento, di condivisione, ma anche di promozione umana e di responsabilità civile». Per Ciotti, che cita a braccio il cardinal Martini e papa Francesco, e che sostiene da sempre «che i dubbi sono più sani delle certezze», richiamando il tema del festival 2016, non si deve temere la «sconfitta che educa», ma piuttosto guardare «alla forza e al valore aggregante della pratica sportiva».

«Credo che bisogna liberare lo sport da quelle forme di illegalità, di doping sia sportivo, ma anche politico, quando, per ottenere consenso, si promettono cose che non si possono mantenere», ha dichiarato don Ciotti

Citando i numeri e le statistiche, spiegando in che cosa consiste il compito delle 1600 associazioni, «mondi diversi» li definisce lui, che compongono Libera, sottolineando più volte e con vigore quel pronome, «noi», in cui si racchiude l’essenzialità della sua missione, don Luigi Ciotti punta il dito contro le piaghe dell’azzardo, dell’indifferenza dell’Europa verso l’emergenza migranti. Per il religioso, insignito di diversi riconoscimenti accademici da parte di più Università italiane, attivo nella cooperazione internazionale e fondatore di un gruppo che, tuttora, lavora accanto a giovani e adulti con problemi di dipendenza, alle vittime di tratta e di violenza, come le donne costrette alla prostituzione, alle famiglie in difficoltà, ai malati di Aids, senza però trascurare l’aspetto culturale e divulgativo di questo incessante operare, due sono i punti di riferimento principali: «la costituzione e il Vangelo».

Da qui, l’invito ai ragazzi presenti ad aprirsi alla Chiesa «che invita a guardare verso il cielo senza distrarsi dalla terra». Infine, da parte di colui che ben conosce la minaccia di chi vuol distruggere le opere fondate sull’onestà con la prepotenza del crimine, un invito rivolto proprio ai suoi amati giovani: «Guardate la bellezza. Tra il bene e il bello, tra l’utile e il giusto, tra la forma e la sostanza. Saldando poetica ed etica lo sport può mostrarci senza trucchi ed effetti speciali la bellezza di chi insegue i propri sogni senza superare i propri limiti, senza scorciatoie». Parole tradotte in fatti, e che, per lo spazio di un pomeriggio e non solo, fanno sperare che il mito dell’invincibilità non sia poi così potente.

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