Stefano Crucianelli*

Ho da sempre considerato mio suocero un uomo tutto di un pezzo, dedito al lavoro e apparentemente poco ai sentimenti. Un uomo che da solo ha fatto molto sotto il profilo lavorativo. Poi venne quel maledetto 24 agosto, poi il 26 ottobre, poi il 30 e poi i giorni di gennaio! E così ci siamo ritrovati spesso sotto lo stesso tetto per parlare di cosa e come fare e di quello che potrebbe essere. Ricostruire, sì, ma come e quando, dove? Sono passati i Vigili del Fuoco (grandissimi), la Protezione Civile gli ingegneri e i geometri.

È passata la neve, tanta a Pian di Pieca, il vento e la pioggia ma notavo che i suoi occhi e quelli di mia moglie (sua figlia) parlavano sempre lo stesso linguaggio: «Andiamo a lavorare e cerchiamo di ripartire». Mai un giorno chiuso il loro negozio nemmeno quando lo sciame sismico si faceva sentire forte e chiaro. Mai le loro mani artigiane e sapienti si sono fermate un attimo, mai i loro piedi hanno smesso di camminare. Solo i loro occhi parlavano, e parlavano una lingua semplice e profonda. Gli occhi di mia moglie riflettevano i sentimenti di mio suocero.

«Ricostruire, sì, ma come e quando, dove? Gli occhi di mia moglie riflettevano i sentimenti di mio suocero»

Ancora oggi succede soprattutto quando si passa d’avanti alla loro piccola azienda agricola da rifare. Si sente il loro cuore battere più forte, gli occhi brillare e chiudersi per poi riaprirsi più velocemente di prima e la voce abbassarsi di un tono. Solo ora le mani ed i piedi si fermano e mi accorgo che tocca a me rompere questo stato emotivo misto rabbia-tristezza. E proprio in queste occasioni che ci sentiamo più famiglia, non tanto sotto il profilo affettivo quanto quello emotivo perché se ci giriamo guardiamo suo nipote, nonché nostro figlio, che cerca negli occhi del nonno i valori della campagna e della montagna. Quelli che anche io sto scoprendo giorno dopo giorno e quelli che mia moglie ha portato sempre dentro di se e quelli che noi tutti sappiamo.

«In queste occasioni ci sentiamo più famiglia. Quando nostro figlio cerca negli occhi del nonno i valori della campagna e della montagna»

Allora anche nella disgrazia più totale, perché questo è, cerchi e trovi un motivo per rafforzare l’idea che tu hai di famiglia di amicizia e di comunità. Vedo intorno a me la desolazione più totale, case “crepate e pericolanti”, negozi vuoti perché i clienti sono in villeggiatura forzata. Ma vedo sempre gli occhi di mio suocero e di mia moglie: occhi che non tradiscono, occhi che sperano e occhi che si “lucidano”. Ma vedo anche occhi che amano, che amano quello che di veramente buono si è costruito: una famiglia, quella che se Dio vuole non si creperà, forse a volte “traballa” ma sicuramente non crolla.

E, magicamente, mi accorgo che su mio suocero avevo sbagliato quasi tutto.

*Regista e attore della Compagnia teatrale “Gli Smisurati”

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