Dal vangelo secondo Luca (Lc 18,9-14)

Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

RIFLESSIONE

Cristo ci mostra due uomini che ad un osservatore “normale” potrebbero sembrare quasi identici, perché sono nello stesso luogo e fanno la stessa cosa: entrambi sono «saliti al tempio a pregare». Ma al di là delle apparenze, nel profondo delle loro coscienza, i due uomini si differenziano radicalmente. Uno, il fariseo, ha la coscienza pulita, mentre l’altro, il pubblicano, è preoccupato perché si sente in colpa. Oggi tendiamo a considerare i sentimenti di rimorso e di senso di colpa come qualcosa di simile ad un’aberrazione psicologica. Tuttavia, è il senso di colpa che consente al pubblicano di uscire dal tempio giustificato, perché «quando quest’uomo è sceso a casa sua, era diventato giusto mentre l’altro no». «Questo senso di colpa positivo – ha scritto Benedetto XVI, quando era il cardinale Ratzinger – disturba la falsa pace delle coscienze e può essere definito una protesta della coscienza contro una esistenza fatta di auto-soddisfazione. È tanto necessario per l’uomo quanto il dolore fisico, che significa un’alterazione del normale funzionamento del corpo». Come il dolore ci mette in allarme e così ci salva in tante situazioni di pericolo, anche il senso di colpa può essere un sentimento sano ed utile. «Gesù non afferma che il fariseo non dice la verità quando sostiene di non essere un ladro, né un ingiusto, né un adultero, e che sta digiunando e dando soldi a Tempio; né che il pubblicano si consideri giustamente un peccatore. Non è questo il punto. Ma piuttosto lo è il fatto che il fariseo non si rende conto che anche lui è colpevole. La sua coscienza sembra completamente chiara. Ma in realtà è il “silenzio della sua coscienza” che la rende impenetrabile a Dio e agli uomini. Mentre il “grido della coscienza” che preoccupa il pubblicano, lo rende capace di sentimenti di verità e di amore» (Benedetto XVI).

SAN GIOVANNI DI DIO

Giovanni Ciudad nacque in Portogallo nel 1495, ed iniziò una vita molto attiva passando da un mestiere all’altro mostrando così di essere alla ricerca ansiosa della sua vera vocazione. Prima pastore, poi soldato, venditore ambulante e… libraio. Solo nel 1539 cominciò a pensare seriamente alla santità, un anno dopo l’arrivo a Granada, in Spagna.
Qui Giovanni era andato ad ascoltare la predica di uno dei più grandi predicatori spagnoli del tempo: Giovanni d’Avila. Sembra che l’argomento della predica fosse l’amore verso i poveri e gli ammalati e Giovanni la prese alla lettera e la trasformò nella sua definitiva scelta di vita. A quell’epoca gli ospedali non erano solamente luoghi di cura, ma ospizi per le prostitute incarcerate, posti dove andavano a morire gli indigenti e si accoglievano i trovatelli e gli orfani, rifugio per i pellegrini…
Sconvolto dalle miserie fisiche e morali, Giovanni ricevette da un ragazzo il soprannome che d’ora in poi lo definirà per sempre: «Giovanni di Dio». Il nuovo nome indica che non era un semplice filantropo, ma un apostolo in mezzo ai malati, agli uomini e donne che frequentavano gli ospedali. Giovanni di Dio fu tanto realista da capire che non poteva riformare tutto il mondo. Cominciò perciò in piccolo, aprendo in una casa presa in affitto il suo primo ospedale gratuito. In un mondo dove solo i ricchi e i re potevano permettersi una tale fondazione, Giovanni di Dio prese una iniziativa inaudita: aprire una nuova via al Signore. Non avendo un soldo, si fece questuante per i suoi malati e per molto tempo fu l’economo, l’infermiere, il seppellitore e… il cappellano. Un tale zelo non poteva non sollevare le severe critiche dei soliti benpensanti! Oggi si sarebbero appellati ai regolamenti sanitari per scoraggiarlo, gli uomini del suo tempo si limitavano ai piccoli, meschini intralci. Nondimeno troverà dei compagni e in mezzo ad essi quest’uomo, che con la preghiera e la carità si era ingegnato di non rifiutare mai un letto o un rifugio, si spegnerà nel 1550. Aveva fondato l’ordine dei Fratelli Ospedalieri, meglio conosciuti col nome di Fatebenefratelli, che proseguirà la sua opera, acquistando un’alta competenza medica che è sinonimo della carità.
Giovanni di Dio è poco conosciuto, tuttavia la sua vita è molto simile a quella di Madre Teresa di Calcutta e merita di essere ricordata.

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