di Giovanna Pasqualin Traversa

In Italia sono quasi 100mila i bambini vittime di maltrattamenti – più della metà (52,5%) bambine – ma quasi 460mila minori sono in carico ai servizi sociali. La maggior parte di questi abusi, violenze e forme di trascuratezza avviene in famiglia, ma si tratta di un fenomeno sottostimato sul quale è difficile avere dati certi perché per ogni caso denunciato si ritiene che almeno altri nove non vengano alla luce. Un milione e 208mila minori vivono in una situazione di povertà assoluta, pur con rilevanti differenze territoriali, tanto che al Sud è a rischio povertà ed esclusione sociale il 44% della popolazione. Lo rivela il Cesvi che ha presentato oggi a Roma, presso la Camera dei deputati, la seconda edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia, intitolato “L’ombra della povertà”, risultato dell’aggregazione di 64 indicatori relativi ai fattori di rischio e all’offerta di servizi sul territorio e i cui dati sono validati da un comitato scientifico di cui fanno parte, tra gli altri, il Cnr, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e l’Istituto degli Innocenti di Firenze.

Un titolo non casuale, ha spiegato l’amministratore delegato del Cesvi, Daniele Barbone “Anche se il maltrattamento avviene trasversalmente in tutte le classi sociali e la povertà nelle sue diverse forme – economica, educativa, di relazioni – non ne è di per sé motivo scatenante, una grave deprivazione può aumentare il livello di stress dei genitori al punto da mettere a rischio i figli che avranno molte probabilità di diventare a loro volta adulti maltrattanti”. Non solo povertà:

il divario tra Nord e Sud del Paese rimane forte anche per quanto riguarda il rischio di maltrattamento.

È ancora allarme nel Mezzogiorno, dove la Campania rimane in ultima posizione, sia per contesto sia per servizi sociali, preceduta da Sicilia, Calabria e Puglia, mentre si riconferma al primo posto come regione più virtuosa – bassi fattori di rischio e un buon livello di servizi sul territorio – l’Emilia Romagna, seguita da Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana.

Per Filomena Albano, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia),

la parola chiave è “fiducia”.

“Per quanto studi e ricerche abbiano dimostrato ampiamente il potere delle politiche preventive, come il sostegno alla genitorialità fragile, nel tutelare bambini e ragazzi dall’esperienza traumatica della violenza e nel promuoverne la crescita serena – avverte – non ci si crede abbastanza, altrimenti gli investimenti e le risorse destinate a questo tipo di intervento verrebbero considerati prioritari”. Invece, annota, alla base del report presentato oggi, c’è “una fiducia reale, un invito e investire nella fiducia di cambiare situazioni che sembrano compromesse in partenza”. All’inizio di maggio, l’Autorità garante ha sensibilizzato con una nota di segnalazione tutti gli attori coinvolti sul piano istituzionale sull’importanza di mettere in campo “una strategia comune in materia di maltrattamenti e violenze, misure di prevenzione prima che di cura”. A partire da un efficiente sistema di rilevazione – oggi inesistente – dell’abuso “classificabile in maltrattamento fisico, psicologico, violenza assistita, sessuale”.

“Grazie a questo Indice le regioni possono migliorare il loro lavoro”, afferma Michela Di Biase, consigliere segretario della Regione Lazio, che per la propria regione parla di “dati allarmanti” e ricorda le azioni intraprese per contrastare una duplice violenza: contro i bambini e contro le donne”. “Far girare i dati colma in parte una forma di sottovalutazione del fenomeno. Non solo le istituzioni o la politica; anche l’italiano medio è distratto sul tema”, osserva da parte sua Carlo Borgomeo, presidente di Con i Bambini impresa sociale. E l’indignazione non basta: “Deve scattare una battaglia di convenienza perché disinvestire sull’infanzia, e quindi sul capitale umano, significa disinvestire sul proprio futuro”. Sulla stessa linea Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali:

“L’investimento sui bambini è un investimento per tutto il Paese”.

“Non sono più tollerabili differenze territoriali”, prosegue ricordando che in Trentino Alto Adige, la sua regione, il rapporto tra cittadini e assistenti sociali è di uno a tremila, mentre in altre è addirittura di uno a quarantamila. Ed è qui che occorre investire perché un miglioramento dei servizi territoriali può contribuire a migliorare le condizioni dei contesti e incidere positivamente sui fattori di rischio.

E’ Giovanna Badalassi, ricercatrice del Cesvi, a presentare i dati più significativi del report e a sintetizzarne le raccomandazioni: “E’ anzitutto necessario disporre di un sistema informativo puntuale e mirato; occorre affrontare in maniera più determinata e con nuovi sistemi di governance le rilevanti differenze territoriali; è opportuno sviluppare politiche dirette e indirette di prevenzione e di contrasto in un approccio multimediale”. Infine, conclude, “nonostante la volatilità della nostra politica,

per affrontare il fenomeno in maniera efficace è indispensabile costruire politiche di medio e lungo termine”.

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