L’inizio di un nuovo anno civile offre l’occasione di lanciare uno sguardo al futuro.
Questo momento storico è segnato per l’Italia dall’impegno a uscire dal Covid e a riprogrammare la vita civile, che faccia tesoro di questa esperienza partendo per esempio da un aspetto molto concreto e che determinerà la vita della prossima generazione: spendere bene i fondi europei.

Per noi marchigiani e maceratesi in specie, questo bisogno di una saggia programmazione, che si basa su una corretta visione del futuro, è ancora più stringente a motivo del significativo cambio di indirizzo politico avvenuto sia in Regione che nel Comune capoluogo.

Abbiamo oggi, dopo alcuni decenni, un cambiamento politico che ha generato una nuova maggioranza e una nuova opposizione ed è chiaro che queste compagini stanno ancora faticando a imparare il loro nuovo lavoro. Dalla loro capacità di imparare, bene e in fretta, sia come governare che come fare un’opposizione costruttiva, dipende gran parte del nostro futuro. Nell’ultimo libro di Papa Francesco: “Ritorniamo a sognare” (dicembre 2020), ho trovato alcuni passaggi preziosi per guidare una visione di futuro illuminata dalla luce della sapienza cristiana, partendo dal fatto che ogni crisi non è solo un tempo negativo, ma una occasione di ripensare la società, l’economia, l’educazione e per noi anche la vita di fede.

Mi sento in particolare sintonia con questo modo di pensare del Pontefice, nato dalle riflessioni di un filosofo che anch’io prediligo da tempo: Romano Guardini. Il Papa dice con il suo solito stile diretto: «Guardini mi ha mostrato l’importanza del pensiero incompleto… da lui ho imparato a non pretendere certezze su tutto, sintomo di uno spirito ansioso».

Per questo nostro tempo di crisi infatti la grande tentazione è subire l’ansia del futuro, che potrebbe portare a ricercare delle certezze rassicuranti, ma velenose per il bene comune. Sono soprattutto le illusorie certezze che promettono sia il pensiero ideologico che quello relativista. Lo chiarisce bene più avanti il Papa: «Sono allergico ai moralismi ed agli intellettualismi, che cercano di risolvere tutti i problemi a forza di prescrizioni, regole ed equazioni. Provo la stessa allergia per il relativismo, che è il travestimento intellettuale dell’egocentrismo. Come Guardini, credo nelle verità oggettive e nei principi saldi.

Sono grato alla preziosa solidità della tradizione della Chiesa, frutto di secoli di pastorale dell’umanità e di fede che cerca di ragionare e di comprendere». Il Papa non ha certo bisogno del mio povero applauso per il grande respiro con cui approccia i problemi seri della vita, ma batto le mani lo stesso.

Quali sono però “i principi saldi” di cui parla? Lo dice nelle pagine precedenti con ottima sintesi: sono quei fondamenti della Dottrina sociale della Chiesa a cui tanti politici ed economisti si appellano in astratto, ma pochi li applicano nel concreto.

Il primo è lo spazio della politica, cioè la necessità del discernimento, della scelta sapiente che cerca di tenere conto della complessità della realtà e che compete proprio ai politici. Dobbiamo infatti vincere la tentazione di credere che: «ad ogni problema corrisponda una soluzione tecnica, come se fosse questione di premere l’interruttore giusto». Il mondo è più ricco di misteri ed interrelazioni nascoste che di certezze misurabili e prevedibili. Il Covid dovrebbe averci confermato in questo. Non basta il governo degli scienziati e dei migliori, serve un governo di uomini, magari fallibili, ma sensibili all’umano, che cerchino soluzioni possibili essendo capaci più di ascoltare tanti, che di proclamare diktat. Quest’arte del buon governo, arte del discernimento, secondo la sapienza della Chiesa dice il Papa: «è del tutto impossibile per chi segue ideologie, fondamentalismi e per chiunque sia frenato da una mentalità rigida».

Il secondo principio guida è il legame tra solidarietà e sussidiarietà. «La sussidiarietà ci aiuta a non distorcere l’idea della solidarietà, poiché comporta riconoscere e rispettare l’autonomia degli altri come soggetti capaci del proprio destino». Gli indispensabili aiuti che verranno distribuiti per affrontare questa crisi, se creeranno assistenzialismo e dipendenza che non responsabilizza e non mette in moto positivo tutte le forze buone della società, saranno una medicina nel breve periodo, che però diventerà veleno sociale nei tempi lunghi. Abbiamo necessità della saggia capacità dello Stato e di ogni pubblica amministrazione di non farsi prendere dalla sbornia del potere, per i soldi che si possono spendere e che per gran parte sono un debito caricato sulle spalle delle prossime generazioni. Se questi fondi non serviranno a mobilitare tutti, valorizzando quello che di buono e produttivo c’è, anche tra chi la pensa diversamente da chi è al potere, faremo danni seri per il futuro.

Il terzo principio è fornito dal concetto di “bene comune” come obiettivo che l’azione sociale deve perseguire. Prima di tutto esso non è solo identificato dai “beni materiali”, ma dal “bene” in senso più ampio, cioè ciò che è buono per l’uomo, essere sia materiale che spirituale. Chi riduce l’umanesimo a una visione puramente materialista e atea, non vedrà mai pienamente il vero “bene” e la sua azione sarà perciò sempre difettosa. Poi dev’essere un bene davvero “comune”, cioè di tutta la società, senza scartare nessuno. «Non basta contemperare partiti ed interessi diversi, o badare alla felicità massima del maggior numero possibile di persone, come se gli interessi della maggioranza vanificassero tutti gli altri», dice il Papa, prendendo ancora le distanze da un modello sociale che scarta le persone, getta via le vite non produttive, emargina e confina.

Come vedete c’è molto da sperare e per cui pregare, perché possiamo uscire da questa crisi davvero migliori. Da cristiano ringrazio Dio per quella «luce di verità, che è venuta nel mondo e che illumina ogni uomo, disposto a non preferire le tenebre alla luce», come insegna il Prologo del Vangelo di Giovanni, che abbiamo letto tante volte in queste feste appena trascorse.
Buon Anno nel Signore.

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