Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Solo il Figlio conosce i misteri del Padre, perché “nessuno è salito al cielo, solo Lui è disceso dal cielo” (Gv. 3,13). Qui sta, espresso in modo sintetico, il profondo problema che percorre tutto l’Antico Testamento: l’uomo e Dio erano distanti, perché Dio è bene infinito, pienezza di vita; mentre l’uomo, per la sua debolezza è preda del male e quindi della morte. Di fronte a questa distanza, a tutto l’Antico Testamento non restava alla fine che l’amara constatazione che “nessuno è riuscito a salire al cielo”.
II Figlio di Dio però è disceso dal cielo, si è fatto uomo, ha percorso la strada da Dio verso l’uomo. Perché però divenisse pienamente fonte di salvezza per quanti gli rivolgevano lo sguardo (Num. 21,4-9) Gesù doveva risalire al
cielo, aprire la strada dall’uomo verso Dio. “Come il serpente, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”, questa parola del Signore – ci insegna Gregorio di Nissa “indica nel simbolo del serpente innalzato nel deserto, il simbolo del mistero della croce”. Mistero della croce, mistero della passione morte e resurrezione di Gesù, che ha la croce al suo centro.
La croce, con i suoi assi incrociati è simbolo antichissimo dell’unione del mondo dai suoi quattro angoli più remoti; con il suo asse orizzontale fissato a quello verticale è segno del nuovo collegamento fra la grazia di Dio ed il mondo dell’uomo. II mistero della croce è questa possibilità di comunione fra Dio e l’uomo, che ci viene riaperta da Cristo con la sua passione. Una comunione subito vivificante, perciò continua S. Gregorio: “l’uomo viene liberato dal peccato da colui che ha preso su di sé la forma del peccato, per causa Sua la morte che consegue al morso viene fermata”.
Il dono di cui Cristo si fa portatore è un dono di vita eterna, ma come tutti i doni deve essere accettato; il perdono che ci porta può essere accettato solo se ci riconosciamo peccatori bisognosi di perdono, e la vita solo se ammettiamo che chiudendoci a Dio, sappiamo procurare e procurarci solo la morte.
Eppure l’uomo pur di non ammettere questa sua debolezza “preferisce le tenebre alla luce, la morte alla vita” ed in ciò si condanna.
Il mistero della croce è scandalo e stoltezza per l’uomo che crede di non aver bisogno di Dio, e non è disposto a riconoscersi peccatore.

Dalla sapienza indiana
Possano tutti gli esseri guardarmi con occhio da amico. Possa io pure guardare tutti gli esseri con occhio da amico. Possiamo guardarci gli uni gli altri con occhio di amico (Yajur Veda, 26,2)

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