Cosa cerco, quando esco di casa la sera, non lo so. Mi lascio attirare, come una falena, dalle finestre aperte: luci, rumori, risate, a volte litigi. È necessario scendere in strada per rendersi conto di quanto siano preziosi questi piccoli bagliori di vita. Solo uscendo si comprende. Solo così.

È una notte limpida. Marte brilla nel cielo di ottobre, in direzione est. Marte, il rosso, l’irascibile. Il dio della guerra ci ricorda quanto sia fragile questa trama di socialità, quanto tutto possa essere spazzato via da un momento all’altro. Anche un quartiere tranquillo ha bisogno di un pensiero vigile per evitare di trasformarsi in campo di battaglia. «Viviamo in un’epoca folle», ha detto qualcuno, e la follia maggiore è proprio quella di arrendersi alla presunta ineluttabilità del ricorso alle armi.

La pace è possibile, va costruita, ed è frutto di opere tese a creare istituzioni di pace. Lo ha sottolineato Stefano Zamagni in un articolo pubblicato il 21 settembre da Avvenire (Sette passi per una pace giusta e duratura non solo in Ucraina). Ci sono situazioni, scrive Zamagni, in cui l’interesse a cooperare, che è vantaggioso per tutti ma richiede una visione di lungo periodo, viene soffocato da comportamenti conflittuali che sembrano più efficaci in un’ottica di breve termine. Le scienze sociali chiamano queste situazioni “problemi di azione collettiva”. Si presentano nei luoghi di lavoro, nella vita di quartiere, nei rapporti tra le nazioni. Per questo è indispensabile ricorrere ad istituzioni stabili, che rendano conveniente la cooperazione. Però alcune istituzioni internazionali sono obsolete, pensate per un mondo che non esiste più. Dopo la caduta del muro di Berlino, siamo stati incapaci di costruire un nuovo sistema di convivenza tra le nazioni, che andasse al di là delle alleanze militari o delle convenienze economiche. La guerra in corso in Ucraina rende evidente in maniera drammatica questa sconfitta. Già, ma come si esce ora dalla spirale di violenza, senza apparente via d’uscita, generata dalla guerra di aggressione russa?

Zamagni individua sette passi per negoziare la pace: passi concreti, realizzabili, illustrati con lucidità. Leggete l’articolo: offre spunti di riflessione importanti, apre prospettive.
Forse l’ostacolo maggiore per una pace negoziata, conclude, è la paura della negoziazione stessa. I politici e i capi di governo temono di essere percepiti come pacifisti ingenui. Ecco perché in una situazione come l’attuale, è indispensabile una mobilitazione della società civile internazionale, tesa a dare vita ad una alleanza per la pace.

La natura umana è caratterizzata da un utilitarismo a breve termine, scrive Jostein Gaarder nel recente saggio Noi che siamo qui adesso. Ma ciò non autorizza nessuno sconforto: a metà strada tra il pessimismo, che è solo una forma di pigrizia, e un ottimismo cieco, che significherebbe chiudere gli occhi di fronte alla realtà, c’è la speranza. E la speranza «è ben altro che una disposizione d’animo: è una forma di militanza». «Come vuoi utilizzare la tua vita per quest’unica volta in cui ti trovi al mondo?» – si interroga lo scrittore norvegese –.

Sono uscito di casa, stasera, senza nessuna meta: ho incontrato un orizzonte militante e passi di pace. Usciamo insieme, finché il tempo regge. Ciascuno, come può, faccia la sua parte. Marte, in fondo, è solo un pianeta che brilla nel cielo di ottobre.

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