di Adelaide Compagnucci

Ho appena percepito quel singulto. Ero andata a trovare la nonna, una donna ancora giovane, accurata nel vestire ma completamente assente. La conoscevo da una vita. Dal giorno in cui si è sposata ed ha visitato il paese natale di suo marito. Allegra, spontanea, sempre pronta ad aiutare chi si trovava in difficoltà con tante iniziative portate avanti nell’ambito della società.

Poi i primi sintomi di cui lei già si rendeva conto. Mi disse “Mi affido al Signore!”.

Rapidamente la malattia se l’è portata via. Mamma non c’è più – dicono i figli – quello che rimane è il suo corpo, la mente è scomparsa, la sua memoria annientata.

Nessuno può immaginare che cosa ci sia dentro, quali pensieri la invadano.

L’aveva colpita il morbo di Alzheimer.

In poco tempo tutto è diventato difficile per lei: ricordare, sbrigare le faccende più semplici come accendere i fornelli, preparare un pasto, mantenere gli orari, fare le marmellate, prepararsi un caffè.

In questa strada sempre più in salita il marito è stato presente fin dall’inizio, con mille attenzioni, con tanta delicatezza ma anche con tanta sofferenza.

Per chi sta vicino a un malato la difficoltà più grande è l’impotenza che come un tarlo ti mangia dentro e logora le forze, nella consapevolezza che quella persona che conoscevi e amavi non ci sarà più.

Allora se il concetto della cultura dello scarto non ci ha ancora toccato, reagiamo e ci rimbocchiamo le maniche e nel momento in cui la relazione si trasforma in un tutto a perdere ci afferiamo alla gratuità che è l’essenza dell’amore e di ogni relazione di qualsiasi tipo, sia essa matrimoniale, di amicizia che ci lega alle persone.

Non ci consegniamo perché aspettiamo una risposta, una ricompensa, fosse anche un sorriso o un saluto, ma perché l’amore è un dare senza condizioni, un per sempre che ci accompagnerà fino all’ultimo respiro.

E così è stato per il marito di Eleonora che ha promesso a sé stesso di non lasciarla, di esserle vicino, a costo del suo stesso fisico che si sta consumando in questa lotta ineguale tra l’oblio e il barlume di lucidità che ogni tanto si affaccia in quel viso assente.

Tante sono le voci che vogliono allontanare Antonio da questa decisione.

Non ce la farai – gli dicono – è un’impresa impossibile, trova una casa di cura adatta e tu conduci la tua vita, non ti puoi spendere in questa maniera.

Tutti consigli buoni e sensati, che hanno lo scopo di aiutare a gestire una malattia difficilissima.

Ma Antonio è convinto che il suo amore è legato a una promessa, non solo a quella matrimoniale ma anche a quella che ha fatto ad Eleonora di non relegarla mai in una Casa di Riposo, qualunque cosa succedesse.

Forte di questo legame che li unisce da anni, una vita trascorsa insieme con quattro figli e tantissimi nipoti, lui persevera in questo dono giornaliero del suo tempo, delle sue ultime energie, rinunciando a tutto quello a cui era legato, l’hobby per i francobolli, le vacanze nel suo paese natale. È il suo unico pilastro e, come in una costruzione, se venisse a mancare la casa andrebbe in mille pezzi.

Nella stanza dove una signora, assunta da Antonio, dal sorriso dolce e gentile, si muove con discrezione per aiutarlo nei servizi domestici ma soprattutto per gestire una malata, ci siamo noi che siamo venuti a vederla insieme ai nipoti.

Lei ci guarda con gli occhi grandi senza ricordare.

Nell’afa estiva la stanza nella penombra nasconde il viso di Alberto un adolescente dai capelli biondi e dagli occhi cristallini. Si aggrappa alla nonna e irrompe in un pianto lungo e sommesso. Non le ha parlato l’ha solo abbracciata e condiviso con lei un dolore sommerso, profondo e indefinibile come lo è questo morbo che ha colpito la nonna.

Lei nel silenzio lo ascolta e sembra che i due misteri si uniscano, le parole sono bandite in questo colloquio a due.

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