*Massimiliano Padula

Il festival di Sanremo sta arrivando. Dal 7 all’11 febbraio prossimo, il programma nazional-popolare per eccellenza si ripropone come liturgia tradizionale della visione. E lo fa in modo trasversale avvicinando per una settimana l’Italia del chiacchiericcio da bar con quella degli snob criticoni. La macchina Rai è imponente come lo sono le risorse economiche messe in un campo per un’operazione televisiva che ha pochi competitor nel panorama italiano. Ma qualche premessa di novità c’è. Ad affiancare il sempre verde (e abbronzato) Carlo Conti quest’anno non ci sarà la solita valletta dal bel faccino (e non solo) ma una colonna portante della concorrenza. Quella Maria De Filippi che per l’occasione salta la quaglia e passa al servizio pubblico dopo il placet “sereno” del boss Pier Silvio Berlusconi. Ma, bontà sua, lo fa a “puro titolo gratuito” premurandosi di sottolinearlo (giustamente) nella conferenza stampa di presentazione dell’evento.

Ma Sanremo costa e costa pure tanto. Non solo la produzione che, naturalmente non può esimersi dal costruire uno show in grande stile, ma anche il cachet dei super ospiti che quest’anno (come lo scorso) risultano, per ora, un tantino sbilanciati. E non si venga a dire che la grande star di turno rappresenta soltanto un’icona musicale (a quello bastano e avanzano i cantanti in gara) ma rimanda, senza ombra di dubbio, a icone di altra matrice, certamente rispettabili, ma sui cui, una piccola riflessione, sentiamo di farla. Confermati per ora Mika, Giorgia, il corpulento hipster britannico Rag’n’Bone Man (autore della hit “Human”), Ricky Martin e Tiziano Ferro. Questi ultimi due, omosessuali dichiarati (nessun problema, ci mancherebbe) potrebbero essere accumunati dalla stessa sorte. Il primo, già genitore di due gemelli nati con maternità surrogata, potrebbe essere emulato dal secondo che, proprio poche settimane prima dell’invito ufficiale al Festival, ha annunciato la volontà di un figlio, anche «se in questo momento è single». E per soddisfare questo desiderio va in America, dove addirittura «frequenta incontri per aspiranti genitori».

L’auspicio è che Ricky e Tiziano possano limitarsi a cantare i loro brani evitando (stimolati dagli autori) di andare oltre il loro ruolo di artisti. Ma siamo fiduciosi e per nulla spaventati dalla legittimità della loro presenza. I precedenti sono buoni. Lo scorso anno Elton John cantò soltanto, nonostante alcune proteste a priori che tentarono di boicottare la sua presenza. Come spettatori, quindi, aspettiamo, guardiamo e giudichiamo senza preclusioni ma speranzosi che il Servizio pubblico si ricordi di esserlo anche a Sanremo. La lista dei cantanti in gara merita un discorso a parte. Carlo Conti ha lavorato di equilibrio mixando sapientemente l’ormai immancabile bacino dei talent (Elodie, Bernabei, Galliazzo, solo per citarne alcuni) con baluardi della canzone nostrana come Fiorella Mannoia (avrebbe tutti i titoli per essere super ospite), Albano, Gigi d’Alessio e Marco Masini. Ha rispolverato dal cassetto cantautori di tutto rispetto come Michele Zarrillo, Paolo Turci e Ron non dimenticando i palati più radical chic (Samuel, Nesli e Fabrizio Moro).

Insomma, un “volemose bene” all’italiana che, siamo certi, non lascerà indifferenti. Né la Rai che certamente gioirà per lo share e i conseguenti introiti economici, né gli spettatori, che nel bene e nel male, si sintonizzeranno davanti al televisore rispettando un rituale che, da più sessanta anni, li vede protagonisti. E che, nonostante la frammentazione dei tempi e dei modi della visione dovuta al digitale, rimane ancora un appuntamento collettivo che molti attendono per godere di buona (o cattiva) musica, per ridere o arrabbiarsi, per incontrarsi e ed esprimere le proprie opinioni.

*Presidente nazionale Aiart

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