Pubblichiamo l’Omelia del vescovo Nazzareno Marconi in occasione della solennità di San Giuliano, Patrono della città di Macerata.


La parola del Vescovo per San Giuliano è da sempre un’occasione di riflessione rivolta non solo ai fedeli ma, anche se in punta di piedi e con tanto rispetto, a tutti i Maceratesi.

Il 5 maggio scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha decretato la fine dell’emergenza pandemica che era iniziata l’11 marzo 2020. Ormai, a quasi sei mesi da quel giorno, è saggio, sia umanamente che spiritualmente, farsi una domanda diretta: come ci hanno cambiati questi anni di Covid?

La fede cristiana tiene in grande considerazione la coscienza e la conoscenza di sé. Serafino di Sarov, un grande maestro della spiritualità ortodossa russa, vissuto nella seconda metà del ‘700, insegnava che la prima regola della vita spirituale è rispondere ogni giorno a questa domanda: «Serafino, dove sei?». Cioè, avere coscienza di sé e del mondo: essere ben coscienti dei propri limiti, dei doni che Dio ci fa, delle relazioni che ci legano agli altri, della realtà che ci circonda. Immersi come siamo in un mondo sempre più virtuale, è saggio tenere ben stretto il rapporto con la realtà.

Dove siamo dopo il Covid e chi siamo diventati? In cosa siamo cresciuti e maturati, ma anche quali regressioni e paure sono aumentate in noi? È una domanda che ciascuno deve fare a sé stesso, ma che possiamo anche porci come comunità umana e credente.
Un saggio amico sociologo mi ha insegnato che i fenomeni estremi e sconvolgenti, come le pandemie, non cambiano le persone e le situazioni, ma spesso accelerano cambiamenti sociali, di mentalità e di visione che già erano in atto. Questo è quanto mi sembra abbia fatto anche il Covid. Ha fatto correre dei cambiamenti già in atto nel nostro modo di vivere e pensare.

Se le cose stanno così, è illusorio pensare che, finita la pandemia, i cambiamenti che si sono accelerati, ma non creati dal nulla, spariscano da soli. Almeno se non faremo qualcosa di chiaro e deciso per contrastare con forza quelli che non ci sembrano buoni.

«Macerata, dove sei?». Proviamo a dare qualche indicazione delle realtà più visibili.

Negli ultimi decenni l’avvento delle tecnologie digitali e della possibilità di comunicare a distanza aveva già iniziato a cambiare, soprattutto nelle nuove generazioni, lo stile di relazione sociale. Il Covid ha accelerato e potenziato un modo diverso di stare insieme e di relazionarsi con gli altri. Siamo molto più concentrati sulle nostre emozioni e sensazioni, mentre ciò che vivono e provano gli altri ci tocca molto meno. Non solo i giovani, ma anche gli adulti, oggi parlano più con lo smartphone che con persone in carne ed ossa. Ci sentiamo perciò molto meno naturalmente parte di un gruppo, un paese, un popolo. Siamo piuttosto un “io” accanto agli altri, che un “noi” insieme a loro.

Essere persone, cioè umani sempre in relazione con gli altri, è oggi più difficile, mentre siamo tutti tentati di credere che vivere da individui isolati sia più facile e comodo. Quanta tristezza si sta accumulando così nei cuori delle persone! Quanto dolore! Perché, mentre abbandoniamo allegramente gli altri, soffriamo poi di sentirci anche noi abbandonati. La nostra fede fa dire a Dio già nel giardino dell’Eden una frase che dovremmo meditare più spesso: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18).

«Macerata, dove sei?»

L’essere bersagliati ogni giorno da mille immagini, messaggi, parole e suoni, spesso dissonanti, quando non opposti e contraddittori, tipico della vita di oggi, stava già indebolendo il valore della parola. Durante la pandemia tutti cercavamo risposte ai tanti dubbi e paure che riempivano i nostri giorni. Allora tanti hanno cominciato a pontificare, a scrivere messaggi, a dare consigli, a spiegare al mondo cose che spesso loro stessi non avevano ben compreso. Questo bombardamento di chiacchiere ci ha fatto dimenticare il valore delle parole vere, sagge, piene di significato. Ci siamo presto abituati a dubitare di tutto e di tutti. Così si sono moltiplicati gli esperti del grande complotto, gli spacciatori di risposte facili alle domande che erano sempre più complesse, gli istigatori di un dubbio così metodico che lasciava alcuno spazio spazio di verità e certezza.

Con dolore dobbiamo ammettere che dopo tante delusioni quasi tutti siamo diventati poveri di fiducia nelle parole, nelle persone e ancor più nelle istituzioni. Come Ponzio Pilato ci risuona sempre in testa: «Che cos’è la verità?». La nostra fede ci insegna a guardare a Gesù, alle sue parole ed al suo esempio per trovare una proposta solida e vera di vita: «Io sono la via, la verità e la vita», dice il Signore (Gv 14,6).

“Macerata dove sei?”

Infine, la paura vissuta per 3 anni che gli altri ci potessero contagiare con i loro virus, ci ha abituato a vedere nel prossimo più un nemico da tenere a distanza che un amico da abbracciare. Si è così rafforzata la pratica di essere uno nella folla. Quel modo strano di passare in mezzo agli altri come se non fossero persone vere e vive, ma solo uno sfondo inanimato, su cui scorre la nostra vita. Questo ha peggiorato una malattia dell’anima, tipica del nostro tempo, che Papa Francesco chiama: l’indifferenza. Nel Vangelo c’è un episodio in cui una donna sfiora Gesù per chiedere il suo aiuto e Gesù si accorge subito di lei, nascosta in mezzo alla folla, quando nessuno ci aveva fatto caso. Questo è il modello che dovremmo seguire per vincere la globalizzazione dell’indifferenza.

In definitiva, questo nostro nuovo modo di essere e di vivere, che il Covid ha accentuato, ci fa stare meglio o peggio? Siamo più felici, più buoni, più sereni di prima, o è vero il contrario?

Credo che ognuno si debba dare una risposta schietta.

E a questo punto sorge un’altra domanda: andare avanti seguendo questa direzione è progredire o regredire?

«Macerata dove sei?». E soprattutto, dove vuoi andare?

La fede cristiana insegna che la storia non è il compiersi di un destino meccanico e già deciso, come credevano i pagani parlando del Fato. Noi crediamo invece che Dio difenda per ogni uomo uno spazio di libertà. Uno spazio libero affidato al cuore di ogni persona, che con fatica ed impegno può crescere e così indirizzare la storia futura di tutti in una direzione diversa.
Un futuro individualista, aggressivo, sfiduciato della possibilità di raggiungere il vero e il bene, non è perciò già scritto da nessuna parte. Almeno se non permetteremo che si continui, per inerzia e paura dell’impegno, a lasciarlo scrivere da un mondo che la pandemia ha solo accelerato in questa direzione.

Al progetto di civiltà che il Covid sembra aver potenziato, è giusto e buono opporsi con un progetto alternativo: la civiltà delle persone e non degli individui, del noi e non dell’io, della cura e non dell’indifferenza, della fraternità e non del nemico, delle parole vere e credibili contro le chiacchiere e la sfiducia.

Il mio augurio è che San Giuliano, il caritatevole traghettatore del fiume Potenza, ci aiuti a traghettare il nostro tempo verso sponde di pace, di comunione, di ricostruzione della fiducia nella verità e nell’affidabilità delle persone con cui condividiamo il cammino della vita.

La Chiesa ripete spesso in questi tempi una bella parola greca: Sinodo, che vuol dire “camminare insieme”. Non è solo uno slogan, ma un vero progetto di futuro che spero molti uomini di buona volontà vogliano condividere.

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